LOST IN THE DREAM: IL CAPOLAVORO DEI THE WAR ON DRUGS COMPIE 10 ANNI

LOST IN THE DREAM: THE WAR ON DRUGS’ MASTERPIECE TURNS 10 YEARS

Milano, marzo 2014, tutto il giorno.

Una timida primavera si affaccia alla finestra del terzo piano dell’edificio in cui lavoro. Traffico, mezzi pubblici che vanno e vengono, il vociare dalla strada e il via-vai continuo di persone che transitano da via del Lazzaretto dirette in Stazione Centrale o verso Corso Buenos Aires.

Ho 31 anni, sono distante centinaia di chilometri da dove sono nato e Milano è diventata casa mia da tre anni e mezzo, ma non mi piace molto. Non mi è mai piaciuta in verità, anche se per un biennio ho nutrito per lei un certo senso di curiosità ed apertura, di quelli che provi verso i posti che non conosci ancora ma da cui sei in qualche modo attratto, in cui pensi di ambientarti e poter lontano dai tuoi. Al netto di alcune possibilità che indiscutibilmente mi ha offerto, mi accordo che sì, mi ci sono ambientato, ma Milano non esercita quasi più alcun fascino su di me.

Ho un altro ritmo rispetto a quel contesto urbano divorato dal cemento, immerso in uno scenario frenetico, efficiente, iperproduttivo ed economicamente pulsante, ma che alimenta in me un certo senso di distacco, di estraneità ed alienazione. Ho un altro senso di bellezza e tento di spiegarlo a coloro, non pochi, che mi dicono che Milano è bella.

Bella, davvero? In relazione a cosa? E come mai, se una parte di me mi trattiene qui, un’altra sogna di andarsene?

IL DISCO

L'immagine può contenere Umano e Persona

È un normale mercoledì in ufficio. Sono al PC e, tra un allenamento e l’altro, vago distrattamente online e mi imbatto nella recensione di un album di una band che non conosco. L'album in questione è “Lost in the dream” dei The War On Drugs. Dice: “Prenditi 60 minuti. E perdersi nel sogno.” Incuriosito, mi metto le cuffie, apro il lettore un po' scettico e comincio a cercare informazioni sulla band. Non ho grandi aspettative, in realtà. Non ne ho mai sentito parlare, non ho mai avuto molta fiducia nella critica musicale, sempre alla frenetica ricerca di nuove forme di eccitazione musicale. “Sarà l’ennesima cosa pompata dalla stampa di settore”, penso tra me. Mi sbaglio palesemente. Dopo pochi minuti, quella che pensavo potesse essere solo musica di sottofondo mi affascina completamente. La meraviglia si impossessa di me ed entro in uno stato di trance onirica.

Fin dalle prime note dei brani d’apertura, la cosa che mi colpisce è la purezza del suono: liquido, stratificato, arioso, zeppo di echi, riverberi ed effetti decisamente inusuali per le mie orecchie. E’ come una coltre sonora, in cui le tastiere spazio-ambiente si avvolgono raffinati ricami tra pianoforte e chitarra, trasportandomi in un’atmosfera sospesa e senza tempo.

I try to find parallels, to look for handles in my memory as a listener that help me better decipher what I’m listening to. I hear references to Springsteen, Dire Straits, Tom Petty, a certain dreampop that, up until then, I have always held in low regard. But all comparisons do not stand alone. This is not a carbon copy or a derivative work, as all the sources of inspiration, although evident, are expressed in an absolutely unique form.If in fact, on the one hand, there is a certain sense of familiarity with the classicism of stars and stripes rock, on the other hand it borders on psychedelia, in a folk style expanded by ethereal atmospheres and ambient and shoegaze codas. And then there is the voice of the singer, Adam Granducielche emerge chiara da quell’impasto sonoro, con il suo timbro delicato che rende il tutto ancora più sognante.

 

AN OCEAN IN BETWEEN THE WAVES

Come la paternità ha cambiato la guerra alla droga | GQ
I La guerra alla droga. A sx, il cantante e leader del gruppo Adam Granduciel

 

Rimango sbalordito da quella bellezza al punto che, quando arriva il momento del quarto brano, “An ocean in between the Waves”, sento qualcosa dentro di me esplodere, cadere in mille pezzi e ricomporsi in una forma sconosciuta. In quell’epico giro di chitarra, sento i bassi incessanti che scandiscono i battiti del mio cuore, il ritmo della batteria che mi fa staccare i piedi da terra, mentre è tutto un turbinio di synth, flanger, ritardi e tremori di chitarra.

 

 

Quando, nel cuore della canzone, sento questi versi:

I’m in my finest hour
Can I be more than just a fool?

Sono così senza fiato che, senza rendermene conto, mi ritrovo con le lacrime agli occhi. Nella mia mente scorrono fotogrammi sfocati che evocano luoghi lontani, strapiombi sull'oceano, strade polverose e sconnesse in spazi sconfinati, chilometri da percorrere di corsa in Cadillac verso un altrove che era esattamente il mio sogno da adolescente.

 

…Come son finito qui?

 

Il brano mi ribalta, apre ferite interiori e, contemporaneamente, le sutura. Fisso il vuoto incantato, il mio corpo è lì ma l’anima è chissà dove, vibrante d’emozione. Non sento più che il telefono squilla, che intorno a me si parla ad alta voce e non mi curo molto del fatto che, di tanto in tanto, i colleghi mi interpellino e io risponda loro a monosillabi, svogliatamente, mentre il mio ascolto prosegue, in un ottovolante di sensazioni.

 

CONCLUSIONI

Fra momenti intensi e altri più morbidi, concedendo carezze come pugni allo stomaco, nella cura maniacale dei dettagli e in assoli da pelle d’oca, il disco mantiene il suo splendore in ogni singolo secondo fino al suo epilogo.

Quando giunge al termine è come uscire da un trip, o aprire gli occhi dopo un sonno profondo. Guardi l’orologio e ti accorgi che è già passata un’ora. La routine incombe e devi darti da fare, anche se avresti bisogno di una camera di depressurizzazione simile a quella riservata agli astronauti al ritorno da un viaggio spaziale. Una stanza asettica, dove il sogno abbandona dolcemente il corpo in lenta dissolvenza.

Questo è “Lost in the dream”: un viaggio che ti rapisce e ti porta via, trascinandoti in un luogo imprecisato nei meandri della tua mente, sprofondandoti in un limbo di ricordi e di nostalgia di posti che forse nemmeno hai mai visto. E’ come un passaggio improvviso dato da uno sconosciuto verso una meta densa di un significato antico, eppure nuovo, a cui credevi di non essere più destinato ma che, in cuor tuo, speravi prima o poi di raggiungere ugualmente.

“Lost in the dream” è, fuor di metafora, un vero e proprio atto d’amore nei confronti della musica. Pochi dischi, al giorno d’oggi, possono diventare un instant-classic e catturarci già al primo ascolto.

E’ una pietra miliare del nuovo millennio impressa in un’istantanea non scalfita dall’incedere tempo.

It is a milestone of the new millennium imprinted in a snapshot untouched by the passage of time.

Se non lo avete mai ascoltato prima d’ora, fatevi un favore: ascoltatelo il prima possibile.

Non ve ne pentirete.

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