Rosario Memoli, l'artista che invita a perdersi nelle forme e nei colori

Rosario Memoli, the artist who invites you to lose yourself in shapes and colours
rosario memoliRosario Memoli è un artista eclettico: è un pittore, ma anche uno scultore, un videoperformer e un cantante. Cos'è l'arte per lui? È una continua ricerca visiva, dove i colori, i tessuti e le forme cambiano sempre, e dove anche l'immaginazione è in continuo movimento. Abbiamo chiesto a Rosario cosa rappresenta l'arte per lui, esplorando il suo mondo multiforme.

Ciò che colpisce di primo acchito è l'energia assoluta che emerge da ogni opera. Perché le opere di Rosario non possono essere descritte solo come "dipinti", "sculture" o "installazioni". Ognuna di queste opere è un'autentica esperienza sensoriale, dove colori e forme assumono ogni volta identità diverse.
Rosario Memoli è nato a Salerno nel luglio del 1979 e vive tuttora nella sua città natale. La sua carriera è stata un susseguirsi di successi. Prima il diploma in pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze, poi il master in Management Culturale degli Eventi all'Istituto Suor Orsola Benincasa, e poi un'infinità di mostre ed esposizioni, in giro per l'Italia e non solo. Da Pistoia a Roma, da Friburgo in Svizzera alla vendita dei suoi quadri per il mercato americano.

Rosario si è quindi distinto nei vari campi in cui eccelle. Ad esempio, i suoi quadri sono stati inseriti nelle scenografie di Paola Bizzarri per la serie televisiva Braccialetti rossi; è stato lo scenografo de Il Poeta e la Città a Salerno, una serie di incontri e letture sulla poesia di Alfonso Gatto; è stato anche uno straordinario interprete video per Il Sigaro di fuoco, un reading musicato sulle poesie per bambini di Alfonso Gatto.

Ecco allora una conversazione con un artista che è stato anche graditissimo ospite di uno dei nostri eventi.rosario memoli

Anzitutto, perché la scelta di un’arte astratta?

Fin da bambino ho avuto una certa propensione per il disegno e mi sono interessato negli anni anche al fumetto, all’illustrazione e alla grafica. Con il passaggio alla pittura e con la crescente passione per la storia dell’arte soprattutto del ‘900, ho scoperto una nuova dimensione espressiva. La tela spesso diventava enorme e a volte non bastava, tanto da far subentrare gli “oggetti della vita reale” che dialogando in maniera inedita, creavano linguaggi sorprendenti. In questa infinita possibilità creativa la materia pittorica (e non) poteva significare qualunque cosa, se sostenuta da un discorso serio ed efficace. Ho iniziato così a sperimentare e capendo subito che il campo era sconfinato e sono andato verso ciò che mi soddisfaceva e aveva coerenza col mio percorso.

I tuoi quadri sono molto particolari, così come è particolare l’uso di diversi materiali. Da dove nasce l’idea giusta per il quadro, e come questa trova il materiale più adatto su cui esprimersi?

L’idea è quella di utilizzare sia colori pensati per l’arte, che quelli pensati per altri settori tipo l’edilizia (come ad esempio la pittura murale), perché hanno consistenze e gradazioni molto diverse e permettono diverse lavorazioni. È questo essenzialmente che si ritrova sulle mie tele. Non penso ad un quadro in particolare, infatti non progetto mai un’opera. Scelgo una superficie (solitamente una tela), poi dispongo dei materiali e degli strumenti che mi interessano (acrilici, pittura murale, pennelli e spatole). Infine, comincio a dipingere, quasi come se fosse ogni volta la prima.

Mi è rimasta la voglia di sperimentare e di strutturare in maniera diversa ogni immagine. Quello che amo è combinare gli elementi della mia pittura, per poi magari scoprirne altri. Spesso lavoro contemporaneamente anche a sculture, cuciti e disegni, con carta, legno e tessuti. Cerco sempre di dare ad ogni opera una dimensione autonoma. Parto quindi da un’idea generale, che poi guida il mio lavoro, ma non è una vera e propria formula.

Come hai condiviso in questi mesi con gli altri la tua creatività, in un periodo come questo dove è stato impossibile frequentare mostre ed esibizioni?

Ho approfittato di questo periodo per rinnovare il mio sito. I social network sono stati strumenti utili a ridestare interesse sul mio lavoro da parte di una cerchia di appassionati a me vicini, e a breve ne vedrò i primi frutti. Ora ci sarà bisogno di un lavoro mirato per andare oltre. Ho avuto anche la fortuna di partecipare come allestitore ad una delle poche mostre che si sono tenute sul territorio: un omaggio ad Ugo Marano ospitato nell’evocativo Eremo del Santo Spirito di Pellezzano.

Oltre all’arte, sappiamo che la tua grande passione è la musica. Hai un gruppo (Provolone records), e la nostra associazione nel lontano 2007 ha organizzato l’evento a cui tu hai partecipato. Cosa ti piacerebbe che facesse, o (ri)facesse Nziria per la musica?

Dunque, la band ora si chiama The Provincials, ma ha avuto quel nomignolo un po’ irriverente per i primi anni, per dare un’idea sgangherata ed imprecisa. Ciò si ritrova nel fatto che come titolo della prima pubblicazione per l’etichetta Disco Futurissimo abbiamo scelto proprio Provolone Records. Le tracce sono state composte e registrate interamente da me con un registratore a cassette, una chitarra classica e un computer. Hanno tutte un sound Low-Fi, che trovo tutt’ora interessante. Per quanto riguarda Nziria Zoo ne ho un bellissimo ricordo: fui salutato con la musica del Padrino perché mi ero attardato per un ultimo pezzo sul palco, nonostante il tempo fosse contato. Me ne scuso ancora oggi a distanza di anni, ma fu molto divertente! A parte le regole c’era un’atmosfera di calda amicizia.

Credo che eventi come quello siano molto utili allo scambio di idee. Ricordo di un’intervista di Bowie in cui diceva che ai concerti le persone andavano per scambiarsi informazioni, e io credo che sia ancora vero, sono informazioni culturali ed emotive che vengono fuori in determinate condizioni, che un concerto senz’altro stimola. Un nuovo festival Nziria sarebbe auspicabile!

Chiara Grasso

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